La liturgia della Pasqua ci offre innanzitutto una certezza : Dio desidera la nostra salvezza e la nostra dignità al di là e al di sopra di ogni male. La sua creatività e la sua tenacia nell’amare l’uomo superano infinitamente la fragilità di quest’ultimo : l’ultima parola è sempre la sua ed è una parola d’amore e di nuova vita.
È stata accesa la luce che ha brillato nelle tenebre. È stata introdotta nel buio delle chiese e ha illuminato il luogo dove i credenti annunciano la loro fede : «Cristo Luce del mondo. Rendiamo grazie a Dio». Le tenebre, immagine del negativo della storia, del peccato, della morte, sono state scacciate dalla luce di Cristo. Perciò la comunità si dispone in atteggiamento di ringraziamento.
Il vero celebrare non è semplicemente mettere in atto dei riti privi di senso : è cogliere attraverso i riti il significato che questi hanno per la vita. Altrimenti la liturgia è teatro. L’azione liturgica, pero, nella sua dimensione primaria, non è rappresentazione scenica bensì una professione di fede. Per questo è così importante la liturgia : è importante darle tempo (anche se sopportiamo difficilmente una predica, volendo segretamente che finisca al più presto possibile) ; è importante darle senso ; è importante darle bellezza : perché la bellezza è l’altro nome di Dio ; perché la liturgia è nostro servizio a Dio che esprime e significa ogni altro impegno di servizio.
La risurrezione dà senso al nostro tempo presente.
L’esperienza ci dice che il tempo ha un inizio e una fine. La risurrezione essa ha anche un punto di mezzo, un centro. La risurrezione strappa il nostro tempo dal non senso del sorgere dal nulla per rientrare nel nulla. Cristo risorto dà appuntamento ai discepoli in Galilea (cf Me 16,7). La Galilea è il luogo della ferialità, del lavoro, della vita familiare, dello studio, della fatica, della gioia. Lì Cristo risorto ci incontra : non solo i discepoli, infatti, ma noi, oggi ! Dire che l’eternità tocca il tempo significa innanzi tutto dire che oggi nella nostra Galilea, nella nostra vita incontriamo il Risorto.
La risurrezione ci porta a vivere diversamente il nostro tempo. Sappiamo che non è un succedersi di attimi destinati al nulla e alla corruzione, ma che il nostro è un tempo orientato. Orientato alla gloria dell’incontro con il Risorto ; orientato all’irruzione del Regno di Dio ; orientato alla pienezza che rende significativo il banale oggi. Le conseguenze sono feconde. Come cristiani non possiamo sottrarci alla fedeltà al nostro oggi con il Signore della gloria e questo incontro va preparato con fervore, impegno desiderio. Esso può essere vissuto come fatica : ma non è vana se è tesa al compimento.
L’attesa del futuro dà senso a quello che facciamo oggi : lo rende ricco di significato e quindi degno di essere vissuto. Nulla della nostra vita è banale. La prospettiva del Regno ci rende anche più critici verso il nostro oggi e tutte le sue strutture di peccato idolatrico. Ogni sistema politico, religioso, economico che vuole tiranneggiare tende a presentarsi come eterno. Noi cristiani sappiamo che di eterno c’è solo Signore e nessuno può sostituirsi a lui. Tutto ciò ci deve rendere vigili e molto attenti a non rinunciare alla risurrezione : è la nostra gioia e il perno su cui tutto gravita. Non possiamo stare senza risurrezione. Neppure rinunciando alla Domenica, giorno del Signore. Il problema non è di costume o di economia, ma di fede.
La Pasqua è oggi, nel nostro oggi.
Per coloro che provano la sensazione di non aver vissuto al meglio delle loro possibilità il cammino quaresimale, la liturgia di è assai confortante.
Alla Pasqua si giunge infatti sempre impreparati, perché la grazia di Dio in questo giorno è sovrabbondante. Il significato autentico della risurrezione non risiede dunque nel fatto che il mondo sia pronto per la salvezza, ma nel fatto che la salvezza venga, nel silenzio e nel mistero di un sepolcro vuoto.
La vista del sepolcro vuoto non sembra bastare, da sola, a suscitare la fede nella risurrezione. Essa fa però sorgere una domanda : che fine ha fatto Gesù ? Anche nella nostra vita, chiedersi se la morte abbia davvero un senso significa compiere il primo passo del cammino che conduce all’incontro personale con Cristo. Non sempre l’ovvio è così ovvio. Cosa festeggiamo a Pasqua? La Pasqua (cristiana) è la celebrazione della risurrezione di Gesù Cristo . Questo è l’ovvio. Superarlo significa trarre dall’ovvio alcune considerazioni ed esserne convinti nella fede.
Oggi è Pasqua!
La fede nella risurrezione di Cristo è il punto sul quale sta o cade la fede cristiana. La risurrezione è l’imposizione di un totalmente nuovo attraverso la morte e oltre essa. La risurrezione di Cristo è la vittoria sulla morte e sul peccato. In essa, dunque, risiede l’efficacia della nostra salvezza e redenzione. Nella risurrezione di Cristo si dischiude per noi la possibilità di una vita nuova.
Oggi, la risurrezione la rivelazione del Padre (nei gesti e nelle parole di Gesù), l’identità del Figlio e la sua missione ricevono accredito e conferma. Per noi la risurrezione di Gesù è promessa. Recita l’orazione di colletta : «o Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna…». Nella risurrezione di Cristo sta la promessa della nostra salvezza ali ; fine dei tempi. E nel presente ?
La Pasqua è oggi!
Nella lettera ai Corinzi, Paolo invita a celebrare la «festa non con lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» ( 1 Cor 5,8). Cosa significa ? Il Tempo di Quaresima è un periodo nel quale si celebra il sacramento della riconciliazione. Visto dalla parte del ministro è un’esperienza straordinariamente ricca e intensa. È la possibilità di condivisione di umanità, nel suo peso e nel suo splendore. È un’esperienza arricchente di profondità nel colloquio personale. È un luogo di contemplazione : il ministro è sempre terzo, spettatore di un rapporto tra altri due, e perciò è prospettiva privilegiata per contemplare come e quanto Dio agisce nel cuore degli uomini.
Del contenuto del sacramento, la confessione dei peccati, si può fare un’analisi morale, ma se ne può anche trarre materiale per dare nome ai modi di presentarsi dell’umanità sofferente : lo spaesamento (il non riconoscere più il mondo nel quale si vive, perché cambiato ed è diventato inintelligibile) ; la paura (nelle sue due manifestazioni del sospetto e dell’aggressività) ; la frustrazione ; la violenza, anche se nella forma più contenuta della rabbia, ma che in ogni caso rompe i vincoli di solidarietà ; la solitudine.
Di fronte a queste manifestazioni della dolenzia, l’annuncio di Pasqua dice che la morte si tramuta in vita, le tenebre in luce, la disperazione in speranza.
Possiamo interrogare i testi della liturgia tenendo fisse tre ipotesi : il sorgere e il crescere della fede degli apostoli è un «protocollo metodologico» per la nostra ; la risurrezione di Cristo è efficace già oggi ; la riflessione sulla Pasqua deve essere rispettosa della fede ma anche dell’umanità : deve essere in continuità, non in sostituzione, né in alternativa, né in contraddizione.
Che fare allora? Essere azzimi
Muovendoci da queste tre ipotesi di percorso, le letture ci invitano, per affermare il rinnovamento pasquale possibile, innanzi tutto ad avere il coraggio, l’ardire, di «dare un nome» al dolore umano. Tornando dal sepolcro, Maria dice ai discepoli : «hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto !» (Gv 20,2). Di fronte alla pietra ribaltata, Maria dà del fatto una lettura univoca, immediata ma insufficiente. Tuttavia, con questa frase Maria esprime il suo lutto, lo condivide e lo rende comprensibile. Oggi non possiamo sfuggire alla constatazione che il nostro linguaggio (e non solo quello della fede) è sempre più povero. Siamo imprecisi, utilizziamo pochi e consolidati slogan, ci avvaliamo di poche categorie per nominare i fatti della nostra vita. Abbiamo bisogno di riformulare un linguaggio per dire la nostra esistenza, per arricchirlo e renderlo più capace di orientarci nelle nostre vicende interiori ed esteriori.
In secondo luogo dalle letture siamo invitati allo sforzo di «interpretare il nostro dolore». È interessante ripercorrere il testo del vangelo per osservare con quanta frequenza ricorrano i verbi relativi alla vista. Fatta questa rassegna è possibile osservare la differenza fra vedere constativo e osservativo di Pietro e Maria, e il vedere interpretativo c’è il rischio di perdere il senso e il significato delle vicende umane e quello di non saper più collocare il dolore nell’orizzonte della speranza, nella possibilità di futuro, cadendo così nella disperazione. In terzo luogo, per affermare il rinnovamento pasquale possibile nell’oggi, è indispensabile «rispondere metodicamente» all’invito a essere azzimi.
La speranza si faccia allora percorsi di speranza. Perciò si deve andare a configurare una spiritualità pasquale : perciò si deve andare a configurare una spiritualità pasquale : benché gli obiettivi non si tramutino in causa di frustrazione, essi devono essere pochi, concreti, essenziali, progressivi e verificabili.
Tu as bien fait en donnant cette méditation au peuple du pays où tu es maintenant… Courage!
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Merci de l’encouragement. Au regard des statistiques des visiteurs,
les « italophones » sont aussi nombreux.
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