Le letture della liturgia dell’11ª domenica del tempo Ordinario (Anno B) ci vengono in aiuto. Essi ci mettono in guardia contro due atteggiamenti opposti, ma entrambi pericolosi. Da un lato, ricorda a coloro che giacciono inerti in attesa che Dio provveda, che l’uomo è chiamato a collaborare alla costruzione del Regno dei Cieli. Dall’altro, invita coloro che si lasciano vincere dalle preoccupazioni per il presente a confidare nella capacità del seme, piantato da Dio nella storia, di crescere e di portare frutto.
Imbocchiamo con la comunicazione. Leggendo il vangelo di questa domenica, (oltre la meditazione già proposta in francese) appare con chiarezza che la domanda : «Come comunicare il Vangelo ?», non è questione solo di oggi, ma fu un interrogativo che si pose anche Gesù. «A che possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo ?» (Mc 4,30). «Comunicare» è più ampio che «insegnare delle dottrine» o «parlare». «Comunicare» coinvolge il verbale e il non verbale. Rimanda alla modalità della rivelazione fatta da Gesù, che «comprende eventi e parole intimamente connessi» (Dei Verbum 2). II volto, lo sguardo, i gesti di Gesù, oltre che e insieme alle sue parole, sono eloquenza di Dio.
Ponendosi questa domanda, oggi, Gesù annuncia il Vangelo del regno con delle Parabole, usando dunque un linguaggio sapienziale che attinge e rimanda all’esperienza della vita. Il testo del vangelo ci impone di interrogarci : evangelizzare sarebbe una questione di prassi comunicativa o di comunicare con la prassi ? E ancora : la Chiesa cosa deve comunicare ? Evidentemente il Regno. Con che stile ? Quello di Dio, descritto nella parabola precedente del buon seminatore. Seguendo quali criteri ? Quelli del Regno detti nelle parabole di oggi.
I criteri del Regno
Che si tratti di prassi comunicativa o di comunicare con la prasi, il vangelo offre illuminanti spunti per riflettere sui criteri cui ispirare entrambe. Il Regno è animato da un’energia e un dinamismo proprio, tuttavia all’avvento del Regno non è indifferente la collaborazione umana, anche se non ne è dipendente. Come profetizza Ezechiele, il ramoscello diventerà un grande albero per la cura di Dio, non per altro (cf Ez 17,22-23).
Da queste considerazioni vengono alcune indicazioni di criteri cui ispirare la prassi ecclesiale. Il compito della comunità cristiana e di fare tutto ciò che è nelle proprie possibilità per l’annuncio del legno, ma sapendo che è Dio che fa crescere. Si tratta dunque di entrare nella logica dell’impegno gratuito e dell’espropriazione dei risultati. Inoltre, compito della comunità è usare tutte le mediazioni umane di cui dispone con generosità ed entusiasmo, ma anche con distacco perché « io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco» (Ez 7,24). La prassi ecclesiale dell’annuncio può essere animata dalla pacatezza e dalla fiducia, ma anche dalla necessità di non confondere il successo, il potere mondano, la forza e il numero con l’avvento del Regno.
Il secondo criterio del Regno enunciato dal vangelo è quello della piccolezza. «È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno… » È il criterio che invita a non temere l’insignificanza degli esordi e neppure la marginalità nell’oggi. In base a questo principio il regime di oscurità agli occhi del mondo non sgomenta e non scoraggia. In fondo, come insegna l’esperienza spirituale di Charles de Foucault, la vita nascosta di Gesù a Nazaret fu più lunga della sua attività pubblica, più oscura, ma non meno efficace in vista della redenzione.
Il criterio della piccolezza invita alla fiducia nell’efficacia non quantitativa ma qualitativa della Parola di Dio e richiede però, la sapienza e la resistenza dei tempi lunghi. Tuttavia, quando guardiamo le cose importanti della nostra vita, ci accorgiamo che sono quelle che sono cresciute e maturate non d’impulso, ma nel tempo.
Comunicare il Vangelo
Sull’esempio di Gesù e continuandone la missione, il compito della Chiesa è comunicare il Vangelo. Per farlo non si può limitare a dire parole, seppure queste siano indispensabili. La comunicazione è, come detto, questione più articolata, ampia e complessa. La comunicazione del Vangelo, la collaborazione all’avvento del Regno, richiede una prassi, uno stile di vite che sia trasparenza di quanto le parole dicono.
Vivere secondo il Vangelo, per renderlo immediatamente percepibile, richiede di prenderlo seriamente, di lasciarsi ferire dalla Parola di Dio che muove al cambiamento, alla conversione. La prima parabola sposta anche l’attenzione sul momento finale, quello della mietitura. Lì il Signore raccoglierà i frutti. II linguaggio di Marco, forse, non è immediatamente trasparente, ma la mietitura è il momento del giudizio, alla fine dei tempi. Anche Paolo ne scrive : «tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male» (2Cor5,10).
Il tema del giudizio finale ha spesso evocato immagini angoscianti e spaventose. Il giudizio, invece, è per la misericordia, e non per la condanna. Tuttavia, affermare la prevalenza della misericordia non contraddice la serietà dell’impegno per il Vangelo e non diminuisce la responsabilità dell’agire umano. Avere fede significa, infatti, sapere che la realtà non si esaurisce nel qui e nell’ora e, quindi, significa vivere una condizione di attesa. Attendere non vuol dire però disinteressarsi di ciò che accade nel presente ma, al contrario, vivere il tempo che ci è dato come un’occasione per prepararsi a ciò che verrà. Una tale vita comunica di per sé il vangelo.