Un grande e profondo desiderio del cuore umano è la liberta. Ognuno aspira alla libertà. Tuttavia, è da mettere in conto che, sia raggiungerla, sia viverla, è una faccenda costosa. Le cose stanno cosi perché faticoso è il cammino di emancipazione; perché progredire verso la libertà lascia in uno stato di esposizione, come quando ci si arrampica in montagna e, guardando in basso, si prova la vertigine dell’essere sospesi nel vuoto. La libertà è costosa perché richiede l’accettazione della fatica, del rischio, della ricerca ed è priva delle sicurezze che vengono dalle certezze su cui basiamo larga parte delle re abitudini intellettuali e di vita.
Chi ha altre preoccupazioni può essere indeciso, ma chi ha fame sa bene cosa cercare: qualcosa da mangiare. La stessa determinazione e sicurezza nello stilare la lista delle proprie priorità è richiesta al cristiano nella sua ricerca del volto autentico di Dio. Con una grande differenza: mentre il desiderio di cibo è dettato dalla necessità (fisiologica in questo caso), il cammino della fede nasce, cresce e raggiunge la sua maturità nella libertà.
La crisi d’Israele
La vicenda di Israele narrata nel libro dell’Esodo è esemplare per riflettere sulla fatica della libertà. Ricca di risonanze, anche e soprattutto esistenziali, è la lamentela del popolo contro Mosè e Aronne: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso le pentole della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine» (Es 16, 3). Meglio mangiare in abbondanza in Egitto che l’austerità del deserto. Purtroppo, l’Egitto è la terra della schiavitù. La libertà è costosa. La crisi del popolo è contestazione integrale dell’opera di Dio, che è opera di liberazione. La risposta di Dio a questa «mormorazione» è il dono del cibo, sostegno nel cammino verso la libertà. Per questo, gli Israeliti raccoglieranno solo la razione giornaliera affinché capiscano che la loro sopravvivenza non dipende da quanto si raccoglie, ma da Colui che provvede a tutto questo. La conferma ne è che quando Israele entra nella terra promessa, terra della libertà e dunque della responsabilità, cessa il dono della manna che fino a quello momento lo aveva accompagnato.
La pienezza dell’umanità libera.
La libertà è un cammino che l’uomo deve compiere per essere pienamente umano. Una perfezione che solo in Cristo contempliamo realizzata. A questa possiamo solamente avvicinarci più possibile, il che corrisponde a quanto esorta san Paolo nella seconda lettura di questa domenica. Paolo parla di un «conoscere il Cristo» (Ef 5,20) che non è solo conoscenza intellettuale ma vitale ed essenziale. Perciò incoraggia ad “abbandonare l’uomo vecchio” (Ef5, 22), che è il nostro vero esodo, e invita a rivestire “l’uomo nuovo” (Ef5, 24), cioè alla nostra conformazione a Cristo, a lasciarci trasformare dal Cristo in noi, che è il fondamento dell’etica paolina. Il desiderio di questa pienezza, autenticità della nostra umanità, è il carburante spirituale della nostra ricerca di Cristo, per dirla con Paolo: «conoscere il Cristo».
Quale ricerca di Cristo?
Anche a proposito della nostra ricerca di Cristo, bisogna fare delle chiarificazioni che aiutano a smascherare delle ingenuità o delle malizie spirituali. Dopo il segno della moltiplicazione dei pani Gesù, poiché la gente voleva farlo re, si allontana e si nasconde. La folla lo cerca e, finalmente, lo trova. Tuttavia, vi è in questo cercare inseguirlo un’ambiguità che immediatamente Gesù contesta: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26). La ricerca di Cristo può essere inficiata dall’interesse. Ovviamente non quello grossolano del mangiare gratis, né quello ormai fuori gioco della conversione al cristianesimo per qualche guadagno mondano. Si può però ricercare Gesù a partire dal bisogno umano, piegando così Dio alla nostra misura. Dio diventa « risposta » al bisogno dell’uomo. La ricerca è vera se Cristo è ricercato per sé. Poi, una volta trovato, risponde al bisogno dell’uomo. Le priorità, però, sono invertite. Ecco perché bisogna trovare Gesù all’altra riva, non quella umana, quella della moltiplicazione dei pani.
La ricerca è vera quando fa «l’opera di Dio » (Gv 6,28). A questo proposito nel vangelo sorge un’incomprensione fra Gesù e i suoi interlocutori. Mentre la gente chiede: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (Gv 6,28), rimanendo nella logica prestazionale (fare; opere). Gli interlocutori di Gesù sembrano riconoscere che la moltiplicazione dei pani risulta da un intervento di Dio senza alludere alla gratuità del dono a cui siamo condotti. Poiché il pane è lo stipendio di chi lavora, come bisogna fare per diventare un dipendente di questo Maestro al fine di assicurarci uno stipendio cosi abbondante? Ecco che Gesù rovescia allora la logica (così come lo dicevamo: non ci si attacchi ai risultati!): non è l’uomo che lavora nella vigna di Dio, ma è Dio che è all’opera nella nostra vita.
Riconoscere quello cambia tutto, cambia la nostra logica, crea in noi lo spirito dell’uomo nuovo. Perciò, Gesù sposta il discorso sulla fede: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che egli ha mandato» (Gv 6,29). La ricerca vera suscita una domanda: non « cosa fare? », ma « chi essere? ». La risposta è: «un credente», indagando in tutta la sua pregnanza il significato di questo impegnativo sostantivo. Questa è l’opera di Dio, che poi ha delle conseguenze pratiche e operative: L’uomo nuovo, secondo l’insegnamento paolino.
Camminare verso l’uomo nuovo è il percorso della novità e della libertà. Per compiere questo nuovo esodo i credenti hanno bisogno di essere nutriti. La reinterpretazione in chiave cristologica della manna che compie il vangelo identifica in Cristo il pane. «Io sono il pane della vita» (Gv 6,35). È Cristo il cibo che sostiene nel cammino verso la libertà, verso la pienezza della nostra umanità che risplende realizzata in Gesù.