Il Natale non è una bella favola che ogni anno viene riproposta in una grande varietà di forme, particolarmente nella celebrazione della Chiesa e nel presepe. Il Natale è invece un avvenimento realmente accaduto, che ha cambiato la storia, anche se molti continuano a ignorarlo o fingono di ignorarlo, e magari tendono a cancellare o a occultare i simboli che lo richiamano. Un lieto evento, l’evento più lieto che il cuore dell’uomo potesse sognare. Un lieto evento che continua ad accadere oggi e ha la forza prodigiosa di cambiare la vita di innumerevoli persone e l’intera società. E tutti sono chiamati a lasciarsi coinvolgere. Questo evento superlativamente lieto ci è stato narrato stanotte attraverso il racconto incantevole della nascita di Gesù a Betlemme, dal Vangelo di Luca.
Oggi (nei paesi ove non si celebra l’Epifania) ci viene proposto in una pagina del Vangelo che è forse la più alta e profonda di tutta la Scrittura. Possiamo considerarla una riflessione teologica, una contemplazione, traboccante di meraviglia e di gioia, che ha come contenuto il mistero dell’Incarnazione. Si presenta col carattere di una testimonianza oculare.
Questa pagina ci invita a concentrare l’attenzione sul vero “cuore” del Natale. Se riusciamo a non lasciarci distrarre da un contesto fuorviante e dispersivo; se riusciamo a non accontentarci della dolcezza sentimentale che questa festa comunica; ma se riusciamo a cogliere il centro del mistero che oggi celebriamo, allora ci sentiremo come… travolti. Incredibile, ma vero! L’imprevedibile è accaduto! “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Occorrerebbe misurare la realtà di questi due termini: il Verbo (che da sempre “era presso Dio” ed “era Dio”, cioè la pienezza infinita e traboccante dell’essere e della vita) e la “carne” (che indica l’uomo nella sua radicale debolezza e precarietà, nella sua distanza abissale da Dio). L’amore ha congiunto questi due estremi.
Tra i miliardi di uomini che fin dall’inizio hanno popolato la Terra, nella “processione” ininterrotta di buoni- cattivi, piccoli- grandi, ricchi- poveri, felici- infelici, tutti “nomadi” in cammino, uno era Dio. Uno fra i tanti, mescolato con loro nel condividere la medesima esperienza. Uno di noi è Dio. Si coglie in questo la manifestazione di un amore inaudito e, quindi, la smentita più solenne di quella concezione di Dio che non di rado possiamo ritrovare anche dentro di noi: un Dio incapace di un interesse reale nei nostri confronti e troppo lontano perché giungano a lui le grida dei poveri, dei soli, dei disperati…
Si rivela, invece come un Dio che si è “scomodato”, si è “compromesso” fino al punto di donarci ciò che aveva di più caro: il proprio Figlio. Per usare un’immagine, vedendo gli uomini che stavano affogando nei flutti di un mare in tempesta, non ha offerto un qualche appiglio, non ha gettato loro un salvagente perché si arrangiassero in qualche modo, ma si è gettato in mare lui stesso rischiando di morire…”Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi, escluso il peccato” (GS 22).
Questo bimbo è l’espressione viva e palpitante dell’amore del Padre. È il volto umano di Dio. Questo bimbo che contempliamo nella mangiatoia è Dio, il Figlio di Dio, che non è venuto tra noi come un turista, come un visitatore frettoloso e di passaggio, ma si è inserito radicalmente nella razza umana, divenendo un membro della famiglia umana: un compagno di viaggio che condivide gioie, fatiche, sofferenze fino all’esperienza della morte. Dio si è fatto talmente uno di noi che una ragazza può dire a Dio: “Tu sei mio figlio!”. E Dio può dire ad una ragazza: “Tu sei la mia mamma!”.
Attraverso il Figlio divenuto uomo è la Trinità intera che si rivela e si dona, entrando in relazione d’amore con gli uomini e chiamandoli a prendere parte alla vita della famiglia divina. Una presenza che si attua in modo particolarmente intenso nell’Eucaristia. È qui che “il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua a offrirsi all’umanità come sorgente di vita divina”.
Il Figlio di Dio, infatti, prendendo da noi la natura umana, in cambio ci regala la sua figliolanza divina. Ci unisce a sé e ci comunica il suo stesso rapporto filiale: ci rende capaci di chiamare Dio, come Lui e con Lui, col dolcissimo nome di “Abbà” = papà. “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. Famiglia di fratelli, di cui Egli è il “primogenito” (Rm. 8,29).
E cresce nel cuore una incrollabile fiducia: “Io non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo. Io lo amo, perché Egli non è che amore e misericordia” (S. Teresa di Gesù Bambino).
Fiducia in Dio e fiducia nell’uomo, in ogni uomo: che meraviglia essere uomo, se il Figlio di Dio ha scelto di diventare uomo! A Natale non celebriamo soltanto la nascita di Gesù. Il tempo natalizio è anche la festa della nostra nascita, la festa della nascita dell’uomo. È la scoperta nuova di quanto valga io, tu, ogni uomo. Se Dio si è fatto bambino, se è nato in una stalla, se ha pianto e ha riso e ha giocato come tutti i bambini, se ha legato la sua esperienza di vita a quella dell’uomo; allora non si può far soffrire o lasciar soffrire un uomo, chiunque egli sia, senza colpire direttamente il Figlio di Dio, divenuto nostro fratello, il primo fratello. Ogni uomo è mio fratello. In ogni uomo si riflette il volto di quel primo fratello.
Il tempo di Natale, allora, è una memoria scomoda: contesta fortemente ogni scelta, ogni abitudine e comportamento, ogni stile di vita non improntati alla solidarietà e all’attenzione concreta verso chi soffre, verso i poveri, gli ultimi con i quali Egli si è identificato. Quei poveri, quegli ultimi che spesso sono più vicini a noi di quanto pensiamo e sono forse anche in casa nostra. Da quando con l’incarnazione il Figlio di Dio si è legato ad ogni uomo e ha legato ogni uomo a sé, l’amore concreto donato a chiunque è realmente donato a Lui.
Il Natale ci ricorda che il Figlio di Dio, assumendo la nostra umanità, è venuto a trapiantare qui sulla terra un modo nuovo di vivere, una nuova cultura, un nuovo stile di rapporti: la cultura della Trinità, la civiltà della Trinità, che è amore scambievole (“come in cielo così in terra”). Noi tradiamo il Natale quando non amiamo e non ci amiamo. Ma l’amore è possibile, una nuova società è possibile. Se l’umanamente impossibile è accaduto (la nascita da una Vergine, e soprattutto la nascita di un uomo- Dio), allora ciascuno, qualunque sia la sua età anagrafica, può e deve dire: Io oggi rinasco, ricomincio, perché l’incontro col Salvatore mi rigenera a vita nuova, in una famiglia laddove tutti si sentono fratelli e sorelle gli uni per gli altri.
Il grande sogno del Bambino di Betlemme è fare di tutti gli uomini una sola famiglia. È trasferire nel cuore dell’umanità l’atmosfera di famiglia, l’incendio d’amore che brucia nella Trinità, da dove Egli proviene. La realizzazione di tale sogno dipende anche da me e da te. Essere sempre più famiglia è lo scopo del Natale. Quale famiglia migliore di quella di Betlemme? Ci insegna la legge fondamentale che è l’amore scambievole. Il Natale è appunto Gesù tra Maria e Giuseppe uniti nell’amore. È qui che si compie pienamente il “venne ad abitare in mezzo a noi”.