La liturgia di questa domenica si pone in continuità con quella che l’ha preceduta. Il profeta Amos, l’apostolo Paolo e l’evangelista Luca affrontano il tema dell’idolatria della ricchezza e ne conducono una critica spietata. La scorsa domenica, il pericolo era di perdere, a causa dell’amore del denaro, la capacità di essere giusti di fronte a Dio e i nostri prossimi; oggi, la minaccia è altrettanto grave. Siamo messi in guardia contro il rischio di trascorrere l’intera vita in maniera superficiale, non cogliendone la bellezza autentica e, di conseguenza, sprecandola.
Il lusso che accieca di fronte alla miseria dell’altro e al nostro futuro.
Nell’ottavo secolo prima di Gesù, il popolo di Dio prospera: conquiste militari, sviluppo economico, un’amministrazione centralizzata, tutto questo fecero del popolo (già nomade) un’entità urbanizzato. Purtroppo, pochi approfittarono di quel sviluppo e tutti furono deportati dall’esercito assiro-babilonese, quindici anni dopo le ammonizioni del profeta Amos.
L’evangelista Luca ci parla di un uomo ricco (il cui nome non è citato per dar posto a tutti noi, poiché il rischio riguarda tutti), la cui esistenza è ridotta al solo possedere e godere. Egli ha un’esistenza senza spessore, perché è appiattito su ciò che veste e mangia. Un’esistenza vacua di una personalità fatua. Dobbiamo però essere chiari: possedere dei beni, secondo Luca, non è in sé un male. Il male può essere nel rapporto che con essi s’instaura. Inoltre, la povertà evangelica non è la mendicità, che è sempre un male da combattere con delle misure e strutture sociali che aiutano tutti a vivere degnamente. D’altro canto, non basta essere indigenti per essere distaccati dai beni. La povertà evangelica va scelta, ricercata ed esercitata come forma di libertà spirituale.
Allora, il peccato del ricco sta nella sua cecità, par la quale, a causa della sua ricchezza che lo ottunde, non vede neppure il povero Lazzaro. L’incapacità di comprendere, la sua insensibilità viene dal fatto che il ricco, immerso nella crapula, semplicemente rimuove il povero. L’effetto di un tale atteggiamento è assai grave. Cosi invischiato nelle sa condizione esaurisce la sua vita nel presente, in una logica esistenziale chiusa nell’egoismo e incapace di aprirsi all’altro. Non ha mai saputo che c’era bisogno di un’esistenza prospettica che non si stordisca nel presente egoisticamente vissuto. Era diventato cieco proprio.
La proposta di una vita “vigorosa”.
La vita consumata nel presente è oggetto di critica anche nelle parole del profeta Amos. La spensieratezza ignara della serietà della vita è descritta con poche e potenti immagini (Cf.6, 4-6). Non è condannata la gioia, ma la sua esagerazione lisergica. È stigmatizzata ma vita oziosa che si rammollisce in uno sperpero di risorse, in un lusso sfrenato, in un gozzovigliare scomposto. Ben altro vigore di vita raccomanda Paolo a Timoteo: “Tu, uomo di Dio, evita queste” (1Tm 6,11). La forza della proposta di Paolo sta tutta nell’espressione “uomo di Dio”, un uomo che deve praticare le virtù della giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza e la mitezza.
Come richiama l’ultima parte del vangelo, gli strumenti per la scelta di una simile statura ci sono già tutti. Non è il caso di cercare eventi straordinari, rivelazioni personali, visioni, e peggio, santoni più o meno profumati d’incenso. Abbiamo già la Scrittura, l’appello della vita, l’intelligenza corretta della realtà, il giudizio riflessivo su di essa.
I peccati di omissione
A leggere le letture di oggi, soprattutto, il Vangelo, restiamo sinceramente sconvolti. Perché tutti questi capovolgimenti? Qual è stata la colpa del ricco? Aveva derubato al povero? Si era fatto beffe di lui? Aveva forse mandato i suoi servi a farlo cacciar via? No, niente di quello. Il ricco sembra non aver fatto nulla contro Lazzaro. Il ricco ha continuato a vestirsi lussuosamente, e a mangiare lautamente come se nulla fosse. I cani, invece, si sono accorti della presenza di Lazzaro e andavano a leccargli le piaghe mentre lui ha fatto come se non esistesse.
Il nostro sconcerto è legato al fatto che noi siamo soliti a legare il peccato a qualcosa di cattivo che viene fatto contro qualcuno: per questo, il ricco pare innocente. Ma Gesù ci porta oltre: l’omissione è grave tanto quanto la malvagità. Cosi, non vedere, non far nulla, ignorare è terribile tanto quanto umiliare, il colpire, il commettere soprusi. Il ricco non ha visto, e non ha fatto niente. Apriamo quindi gli occhi, guardiamoci intorno, cerchiamo di accorgerci di quelli che soffrono, di quelli che attendono un aiuto, di quelli che sono ne disagio, di quelli che hanno bisogno della nostra presenza, del nostro conforto, del nostro semplice sorriso che potrebbe riaccendere il loro volto.
La solidarietà non è un optional, un lusso che si possono solo permettere quelli che non hanno niente da fare. E la ricchezza non può corrispondere a un privilegio che ci dà il diritto di ignorare la penuria altrui. Condividere il pane, portare i pesi degli altri per noi cristiani, è un dovere. Benedette quelle famiglie che aiutano i figli ad aprire gli occhi su ciò che accade attorno a loro, in casa, nel vicinato,… e che danno l’esempio di come si aprono le mani generosamente per aiutare quelli che sono nel bisogno.
L’Efficacia della Parola di Dio
Nell’ultima parte della parabola, il ricco si interessa alla sorte degli altri, i suoi fratelli, altri ricchi a cui Lazzaro dovrebbe dare servizio. Abramo taglia corto: c’è la Sacra Scrittura. Essa porta il messaggio che il ricco dannato vorrebbe che arrivasse ai suoi fratelli. Il ricco, infatti, pensa che i suoi fratelli non siano in grado di pretendere la scrittura in mano e di ascoltarla come Parola di Dio. Un fatto abnorme, strepitoso, assolutamente fuori dal normale, dovrebbe convertirli. Siamo sempre della stessa mentalità: il ricco dannato viveva una vita abnorme, con lauti convitti, assolutamente fuori dal normale. Dio dovrebbe convertirsi, approvando questo modo di vivere, e quindi, raggiungerlo con un miracolo. Abramo lascia cadere la richiesta. Il miracolo consoliderebbe la mentalità del ricco, mentre l’umiltà e la forza della Parola di Dio sono sufficienti, poiché la Parola di Dio è sempre efficace. (Isaia 55,10).
Effettivamente, non è il miracolo che genera la fede. È una risposta alla fede che già si ha e che viene consolidata. Sappiamo che la risurrezione di Lazzaro, fratello di Marta e Maria da Betania, non ha convinto i Farisei. I loro cuori si sono invece induriti e hanno deciso di uccidere, non solo Gesù, pure Lazzaro (Giovanni, 11,45-53).
Dio fedele e paziente, tu ci chiami al banchetto del tuo Regno. Apri in nostri occhi sulle cause profonde delle ingiustizie che dividono gli uomini. Stimolaci a ridurre lo scarto sempre grande fra i ricchi e i poveri, aprici, con la tua Parola, alle necessità dei nostri vicini perché senza di Te, nulla possiamo fare. Amen.