La celebrazione del Giovedì Santo è un’immersione profonda nella ricchezza della vita cristiana ordinaria: servizio ministeriale, che non riguarda solo vescovi e preti, ma tutta la Chiesa: lavare i piedi ai fratelli, cioè prendersi cura della loro vita e della loro salvezza tutti i giorni; comunione fraterna che ha la sua fonte e il suo culmine nell’Eucaristia. Questa Eucaristia celebrata deve concretizzarsi nella vita concreta, una vita vissuta nell’unita e nella comunione dei beni, una che non gode del superfluo mentre ce ne sono tanti che mancano il necessario.
A Corinto la cena del Signore era diventata motivo di divisione tra ricchi e poveri. Paolo interviene in maniera decisa e, prima di rimproverare e indicare la linea di condotta corretta, ricorda il senso e il valore dell’Eucaristia: è comunione con il corpo e il sangue del Signore, per partecipare alla sua passione redentrice e fare dei credenti un solo corpo in Cristo.
Come lo abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi, Giovanni non racconta l’istituzione dell’Eucaristia, i sinottici e Paolo lo avevano fatto con abbondanza di particolari. Ci tiene, invece, a far cogliere il legame strutturale tra l’Eucaristia e l’amore fraterno, che si fa umile servizio. Per questo racconta in dettaglio la lavanda dei piedi. Ricordata l’istituzione dell’Eucaristia con le parole di Paolo, la liturgia sceglie quindi il testo della lavanda dei piedi dell’evangelista Giovanni, perché vuole ricordare a tutti i cristiani che Eucaristia e amore-servizio fraterno sono inseparabili, e cioè, la celebrazione della messa senza l’amore fraterno non ha senso, anzi, diventa offesa al corpo sangue di Cristo. Guardiamo più da vicino questo testo.
Giovanni richiama la Pasqua, tempo del sacrificio, e presenta Gesù pienamente consapevole che è giunta l’ora di offrire la sua vita e di tornare al Padre. È obbedienza al Padre e amore fraterno; amore «fino alla fine», cioè fino al compimento, che realizza la salvezza. Nel cenacolo l’amore rende Gesù Maestro-servo, sulla croce lo rende Agnello Pasquale che toglie il peccato del mondo: «tutto è compiuto».
La scena è altamente “liturgica”. Gesù depone le vesti, si cinge di un grembiule e si mette a lavare i piedi ai suoi discepoli. Gesto inaudito e inimmaginabile. Lo sottolinea la reazione di Pietro, che ancora una volta rappresenta tutti. La resistenza di Pietro acquista il valore di istruzione, che impegna tutti i ministri. La sua resistenza a lasciarsi lavare i piedi indica non solo che non può capire il significato del gesto di Gesù, ma che vuole perpetuare la distinzione tra « padrone e servo », cosa che il Maestro vuole eliminare. La terribile minaccia, che fa piegare la volontà di Pietro, anticipa il cuore del comandamento dell’amore: accettare di essere lavati da Gesù, superare la distinzione servo-padrone, diventando amici del Signore, condividere la sua vita, donare la propria vita. Pietro lo capirà « dopo » la risurrezione di Gesù e lungo tutta la sua vita.
Riprese le vesti, quindi, Gesù spiega il suo gesto. Confermando di essere «il Maestro e il Signore», egli in un primo momento conferma la distinzione tra lui e i discepoli. Nella Chiesa siamo tutti fratelli e davanti al Signore nessuno è più importante degli altri, ma è necessario che qualcuno rappresenti l’autorità di Gesù: gli apostoli, i vescovi, i presbiteri.
Ma subito dopo Gesù spiega come va esercitata l’autorità. È servizio che, partendo dal gesto reale e simbolico di lavare i piedi, giunge a seguire in tutto l’esempio di Gesù: mare e servire fino a dare la vita. Chi nella Chiesa gestisce diversamente l’autorità ministeriale (c’è bisogno di ricordare che ministro significa servo?) contraddice Gesù e dovrà renderne conto.
Il gesto della lavanda dei piedi, ripetuto nella liturgia, diventa quindi il simbolo della fraternità cristiana. È un gesto che anticipa e concretizza il comandamento dell’amore: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). È questa l’unica strada per condividere la vita divina che Gesù è venuto a portare. La celebrazione eucaristica diventa così il sacramento della condivisione della vita di Cristo tra fratelli che si amano e si servono reciprocamente.
Da questo, tiriamo alcune conseguenze pratiche:
Trasformare la celebrazione dell’Eucaristia in un obbligo, un dovere da compiere, è per molti cristiani un terribile errore, spesso inconsapevole. Il sacramento dell’amore non sopporta obblighi, l’amore donato liberamente chiede una risposta libera di amore. C’è ancora una situazione che non dovrebbe caratterizzare i fedeli: ci sono battezzati che a messa si siedono lontani da persone a cui non vogliono dare la pace e poi vanno a « fare la comunione »; in realtà non entrano in comunione con Cristo, con i fratelli e neppure con se stessi. Infine, guardiamoci della tentazione del potere: Tutti nella Chiesa abbiamo qualche “autorità”. Ci sono cristiani che all’ombra dei presbiteri gestiscono un potere » che li fa sentire al di sopra degli altri fedeli. È la tentazione di ogni traditore di Gesù. Ogni « potere » che non sia servizio umile e amorevole, diventa diabolico e a divisione e sofferenza ingiusta.